Più di 7500 articoli pronti a magazzino
Miglior prezzo garantito
I vostri partner per la astronomia
Rivista > La pratica > I consigli tecnici di Weigand > Il flatfield perfetto
La pratica

Il flatfield perfetto

Verso foto astronomiche prive di aberrazioni

Con le immagini di correzione o flatfield puoi dire addio agli errori dovuti alla polvere o a una illuminazione non uniforme.

La produzione di un flatfield tramite un'apposita lastra luminosa posta davanti all’apertura del telescopio. M.Weigand La produzione di un flatfield tramite un'apposita lastra luminosa posta davanti all’apertura del telescopio. M.Weigand

I dati raw astrofotografici mostrano sempre, per diversi motivi, immagini falsate del cielo. Infatti, l’ottica del telescopio i filtri e la camera portano a una illuminazione disomogenea del campo immagine.

Se successivamente si desidera elaborare l’immagine per aumentarne il contrasto, non si migliora solo la visibilità dell’oggetto, ma anche gli errori. Proprio negli scatti di oggetti deboli e diffusi, come le nebulose o le zone esterne delle galassie, la correzione di questi errori determina se l’oggetto sarà ben visibile su tutta l’immagine. Negli scatti fotometrici poi, necessari per misurare la luminosità degli oggetti, la correzione non permette solo una rappresentazione migliore, ma è addirittura assolutamente necessaria.

Tra i compiti più importanti in astrofotografia troviamo la creazione di immagini correttive, in modo da poter eliminare questi errori. Se create nel modo giusto, contengono solo informazioni relative alla distribuzione della luminosità sul piano dell’immagine. Permettono di livellare le foto astronomiche e quindi vengono dette flatfield. Il livellamento viene effettuato dividendo ogni immagine raw per l'immagine flatfield, una funzione offerta da qualsiasi comune software di elaborazione delle immagini CCD.

Immagini con luminosità non uniforme

Ogni componente del setup può causare disomogeneità nell’illuminazione. La più evidente è la vignettatura, prodotta dal telescopio stesso. Solo la zona del piano focale, dal quale è visibile tutta l’apertura del telescopio, non è soggetta a vignettatura. Tuttavia, con il tempo, anche particelle di polvere si depositano sulle superfici ottiche. La polvere sulle lenti degli obiettivi è quasi impercettibile, poiché si trova lontana dall’area di messa a fuoco. Sui filtri invece, sulla finestra dell’alloggiamento del sensore, o sul sensore stesso, le particelle di polvere si manifestano come macchie scure sull’immagine.

Infine, anche il sensore stesso causa una illuminazione non uniforme: la sensibilità dei singoli pixel varia infatti leggermente e necessita di correzione.

Una tipica immagine flatfield con vignettatura del telescopio e macchie rotonde causate dalla polvere. M. Weigand Una tipica immagine flatfield con vignettatura del telescopio e macchie rotonde causate dalla polvere. M. Weigand

Un flatfield per sempre?

L’immagine flatfield deve pertanto fornire la situazione precisa dell’illuminazione durante l’esposizione, e in genere deve avere la stessa posizione di messa a fuoco, lo stesso orientamento della fotocamera e lo stesso binning dei pixel.

Idealmente, un flatfield è sempre valido per una determinata combinazione di fotocamera, telescopio e filtri. Questo è possibile solo se il centro del sensore si trova sull'asse ottico del telescopio, con vignettatura simmetrica. L’immagine flatfield può essere usata con qualsiasi orientamento della fotocamera, fatto salva la necessità di correggere nuove macchie dovute alla polvere. Con una configurazione di questo tipo, vale quindi la pena di essere particolarmente meticolosi nella pulizia: le immagini flatfield possono allora essere utilizzate per anni. Se l'illuminazione invece non è simmetrica o se la polvere si è depositata sulle superfici ottiche, è necessario creare nuove immagini flatfield.

Il flatfield ottimale

Una immagine CCD con contrasto intensificato della nebulosa Pellicano prima (sinistra) e dopo la correzione con flatfield (destra). La visibilità delle strutture e delle nubi oscure migliora sensibilmente, mentre gli angoli scuri dell’immagine sono scomparsi. M.Weigand Una immagine CCD con contrasto intensificato della nebulosa Pellicano prima (sinistra) e dopo la correzione con flatfield (destra). La visibilità delle strutture e delle nubi oscure migliora sensibilmente, mentre gli angoli scuri dell’immagine sono scomparsi. M.Weigand

Come si presentano quindi i dati di un flatfield ottimale? Fondamentalmente, valgono le consuete condizioni della fotografia CCD. Lo scopo è quello di arrivare a una immagine il più possibile libera da rumore. I comuni metodi per le immagini flatfield (vedi “In dettaglio”) prevedono tempi di esposizione relativamente brevi per ottenere facilmente un buon rapporto segnale/rumore. Inoltre, si può calcolare la media di diverse immagini, preferibilmente qualche decina, perché il rapporto segnale/rumore delle foto astronomiche non deve in nessun caso essere peggiorato dal flatfield. Da notare comunque che, come per l'astrofotografia vera e propria, è necessario sottrarre i darkframe, scattati con lo stesso tempo di esposizione e alla stessa temperatura.

Il tempo di esposizione dell’immagine flatfield viene scelta in modo che i valori di luminosità siano circa la metà della gamma dinamica della fotocamera. Nelle fotocamere con otturatore meccanico i tempi di esposizione molto brevi potrebbero essere un problema. Mentre l’otturatore si chiude, il sensore viene illuminato in modo non uniforme. Il tempo di esposizione deve essere scelto di conseguenza, in modo da rendere trascurabile il tempo di chiusura dell’otturatore.

In dettaglio: metodi per creare immagini flatfield

Esistono molti metodi per ottenere immagini flatfield, tutti basati sulla creazione e la cattura di una superficie con una luminosità perfettamente uniforme e senza alcuna struttura. In tutti i casi è utile avere una lastra di vetro opaco, un panno bianco o della carta davanti all'apertura del telescopio.

Skyflats

Una possibilità è offerta dal cielo al crepuscolo, prima che le stelle siano visibili. Al calare del Sole, si punta il telescopio verso lo zenit. A questo punto è consigliabile avere una sorta di diffusore davanti all’apertura, perché le stelle più luminose potrebbero diventare visibili sulle immagini del sensore CCD. Tuttavia, la luminosità del cielo cambia continuamente e il tempo di esposizione deve essere adeguato di conseguenza, quindi sono più consigliabili i seguenti metodi.

Parete bianca

In questo caso viene illuminata in modo uniforme una parete o una tela, che viene poi fotografata. Nella pratica è tuttavia difficile ottenere una illuminazione completamente priva di gradienti. Inoltre, non sempre c’è un muro bianco nelle vicinanze.

Pannelli luminescenti

Da alcuni anni sono disponibili pannelli elettroluminescenti, da posizionare in piano sull’apertura del telescopio. Se necessario, si può ridurre la luminosità con strati di carta. Questo metodo permette di scattare in tutta comodità immagini di correzione in qualsiasi momento, motivo per cui è chiaramente consigliabile.

Autore: Mario Weigand / Su gentile concessione di: Oculum-Verlag GmbH